sabato 28 marzo 2009

K. Kavafis, "Aspettando i barbari", 1908

Che cosa aspettiamo così riuniti sulla piazza?
Stanno per arrivare i Barbari oggi.
Perché un tale marasma al Senato?
Perché i Senatori restano senza legiferare?
E’ che i barbari arrivano oggi.
Che leggi voterebbero i Senatori?
Quando verranno, i Barbari faranno la legge.
Perché il nostro Imperatore, levatosi sin dall'aurora,
siede su un baldacchino alle porte della città,
solenne e con la corona in testa?
E' che i Barbari arrivano oggi.
L'Imperatore si appresta a ricevere il loro capo.
Egli ha perfino fatto preparare una pergamena
che gli concede appellazioni onorifiche e titoli.
Perché i nostri due consoli e i nostri pretori sfoggiano la loro rossa toga ricamata?
Perché si adornano di braccialetti d'ametista e di anelli scintillanti di brillanti?
Perché portano i loro bastoni preziosi e finemente cesellati?
E' che i Barbari arrivano oggi e questi oggetti costosi abbagliano i Barbari.
Perché i nostri abili retori non perorano con la loro consueta eloquenza?
E' che i Barbari arrivano oggi. Loro non apprezzano le belle frasi né i lunghi discorsi.
E perché, all'improvviso, questa inquietudine e questo sconvolgimento?
Come sono divenuti gravi i volti!
Perché le strade e le piazze si svuotano così in fretta
e perché rientrano tutti a casa con un'aria così triste?
E' che è scesa la notte e i Barbari non arrivano.
E della gente è venuta dalle frontiere dicendo che non ci sono affatto Barbari...
E ora, che sarà di noi senza Barbari?
Loro erano comunque una soluzione.
La trovate su un sito interessante: www.tolerance.kataweb.it.

venerdì 27 marzo 2009

La poesia che mi aveva dato la prof. l'anno scorso

Ascoltando una canzone alla radio (tra l'altro mi c'ha fatto restare abbastanza male: cioé, una canzone che cercava di dare un messaggio che non fosse "ho baciato una, che figata!!" e pure in italiano!! Rischio l'infarto..) mi è venuto in mente che poteva essere carino inserire nel blog una poesia che i aveva dato la mia prof. di italiano l'anno scorso.

Compleannibo..


(questa so io)
..alla faccia di facebook, uso questo bel blogghettino per dire ai miei cari colleghi di medicina che chi ne ha voglia sabato 11 aprile venga alla cenettina del mio compleanno, al bowling a Castelfranco (chi non sa dove sia può chiedere qui o a qualche valdarnese-Valdarnia Rulez!-). Importante: datemi una sorta di conferma, anche vocale alla svelta..baci baci

martedì 24 marzo 2009

La scolarizzazione

Premetto che ancora non ho finito di leggere l'articolo del prof., sono a malapena a metà, e mi sono sforzata di andare avanti invece di fare quello che sto facendo adesso, cioè fermarmi e scrivere la mia sul mio blogghino.
Per ora voglio dire la mia sul discorso della scolarizzazione (che sono sicura che comunque andrà avanti anche nelle pagine dell'articolo che ancora non ho letto): sono una studentessa universitaria, di medicina (e quindi ho studiato una serie di nozioncine per dimenticarmele subito dopo aver passato lo stupido test d'ammissione), e mi sento tirata in ballo; e, mi dispiace per voi che leggete, mi interessa scrivere di me.
La mia vita nella scuola è stata segnata dalla scolarizzazione..e da mia madre che ha prodotto la mia scolarizzazione. Ma partiamo dall'inizio: ho imparato a leggere ed a scrivere all'età di 5 anni e mi ha insegnato mia nonna. "Putroppo" mi ha insegnato a leggere e basta, non è una nonna come il nonno del prof., che dire, peccato. I problemi sono venuti dopo quando la mia dolce mammina ha cominciato a farmi fare i temini in più oltre alla lezione delle maestre, a mandarmi a studiare dal nonno (diploma classico nel 1952) e soprattutto a svegliarmi chiedendomi: quanto fa 7 per 8? I risultati sono stati ottimi dal suo punto di vista: le maestre mi adoravano, e anche le prof alle medie, avevo ovviamente ottimi voti, ma passavo anche tutti i pomeriggi in casa a leggere e a guardare i documentari invece che andare a giocare fuori..attenzione però: non ero certo obbligata! Leggevo tanto perché mi piaceva e specialmente da molto piccola avevo tanta curiosità e smania di sapere tutto. Quando poi alle medie è cambiato tutto..perché dovevo smetterla di fare la Hermione Granger e cominciare ad inserirmi nella società, e perché la scuola media è uno schifo dove non impari davvro proprio niente..oltre alla scolarizzazione mi è rimasta ancora un po' di curiosità e voglia di imparare e..i bei voti che poi più avanti mi hanno fatto avere i miei 100/100 all'same di maturità! Insomma tutto questo discorso per dire la mia: sono d'accordo con il professore sul fatto che la scolarizzazione è più che ltro un intralcio all'apprendimento e mi sento in qualche modo una sopravvissuta, tuttavia mi sento di rimarcare il suo discorso sull'educazione familiare: secondo me non è la scuola con i suoi metodi obsoleti la principale responsabile della mancanza di education, a favore della scolarship, anche se sicuramente qualcosa di più si può fare.

mercoledì 18 marzo 2009

Il Forum dei Giovani di Montevarchi

..se qualche Montevarchino che non mi conosce si è messo a leggere adesso sarà un po' disorientato: nessuno, o quasi, conosce il Forum dei Giovani di Montevarchi, e dire che è anche su Facebook!!

Secondo me l'anima del Forum è l'INTERESSE verso la politica ed il mondo locale, è per questo che ne faccio ancora parte dopo tanto tempo e ancora non mi è venuto a noia.

COS'E'?
Il Forum è una realtà presente nella mia amata cittadina da ormai 2 anni, al momento dell'apertura del bando nell'estate del 2007 potevano iscriversi tutti quelli che avessero dai 16 ai 25(o 26) anni e avesser qualcosa a che fare con Montevarchi, nel senso abitarci, ma anche andarci a scuola o lavorarci. Il Forum NON è un'associazione, è un organo del Comune, creato dal Consiglio Comunale e ad esso direttamente legato. Il Forum è apolitico ed aperto a qualsiasi forma di diversità (politica, religiosa, culturale).

PERCHE'?
Il Forum è stato creato a fronte di dell'esigenza di avvicinare il mondo dei giovani della vallata a quello dell'amministrazione e della politica.

CHE SI FA?
Nel Forum, essendo un forum, più che altro si discute delle criticità e dei problemi che i giovani trovano nella cittadina e in tutto il Valdarno in generale, vengono fatti incontri con il Sindaco e con altre figure, come assessori o tecnici, per l'approfondimento.

COSA SI PUO' FARE?
Essendo in diretto collegamento con l'amministrazione comunale della città, il Forum è in grado di essere sempre al corrente dele iniziative del Comune e di parteciparvi, nonché di presentare mozioni per il loro miglioramento. Abbiamo inoltre a disposizione i locali gestiti dal Comune e possiamo fare da tramite per iniziative di associazioni nello spazio della città. Infine siamo in contatto con le scuole in cui facciamo interventi a favore della "cittadinanza attiva" e della partecipazione dei giovani dal punto di vista sociale e culturale.

PER SAPERNE DI PIÙ
Il Forum è raggiungibile su Facebook e dal sito del Comune di Montevarchi; con questo ci arrivate al volo: http://www.comune.montevarchi.ar.it/index.asp?para=type|menu~idSez|319

IL PROBLEMA DEL FORUM
Eccoci arrivati alla nota dolente!! Ultimamente il numero di partecipanti attivi al Forum, nonostante che all'inizio gli iscritti fossero assai numerosi e che i temi approfnditi nelle ultime riunioni siano stati molto interessanti (diversi gli incontri con il Sindato e tecnici), sta drasticamente diminuendo..è anche per questo che ho scritto questo post sul blog, magari qualche valdarnese che fa medicina è interessato..

Ebbene, vi ho reso nota di un'altra attività che svolgo, e che occupa il mio tempo utile per studiare, a cui sono molto affezionata e che voglio far conoscere al mondo, gli studenti del primo anno di medicina sono solo l'inzio...

I miei post da più di 200 parole..

Allora eccomi di nuovo qui a scrivere sul mio blog, ormai intasato da quegli stupidi racconti che ho voluto infilarci per forza..e che sono ben più lunghi di 200 parole..eheh..
Non chiedo certo scusa se nei vostri benedetti reader vi è toccato scendere di chilometri con il mouse per vedere qualcosa di più interessante. Lo so, è vero che non li avrà letti nessuno e vi hanno solo dato noia, ma sinceramente la mia opinione è che a me dei vostri pensierini (by Luke) non me ne frega un ca...e se proprio non avete di meglio da scrivere su un blog metteteci almeno un po' di musica o qualche foto per rendere la lettura piacevole, sennò dopo che il prof. ci avrà dato il suo votino lo butterete direttamente nel cesso. Perché lo so che è quello che avete intenzione di fare!
Vabbè, non sono proprio la persona giusta per criticare l'uso dei blog, però penso che se uno vuole mettere se stesso sul web e parlare di sé, oltre che inserire i suoi pensieri debba anche mostrare le cose che ha fatto..e magari di cui va fiero.
Con tutto quest discorso inutile e dal tono scocciato - scusate, ma il computer mi manda in nervosi spesso e volentieri - sono arrivata all'argomento del prossimo post, che spero leggerete con un po' di entusiasmo.

venerdì 6 marzo 2009

Il cantiere dei ricordi

Venni a sapere che avevano buttato giù anche il caseggiato nella traversa di via Gramsci in un giorno d’estate mentre passavo per quelle strade guidando l’Opel Corsa di scuola guida. Raffaele disse che gli era dispiaciuto che avessero già finito di abbatterlo perché si divertiva a vedere le ruspe e tutti quegli enormi macchinari fatti a posta per distruggere. Disse anche che visto che per quell’edificio non aveva fatto in tempo, se ci riusciva, sarebbe andato a vedere come radevano al suolo il vecchio ospedale di San Giovanni.
Quello di Montevarchi è un pezzo che ormai l’hanno buttato giù. Sono anni ormai che è stato costruito il plesso sanitario di Santa Maria alla Gruccia e l’edilizia ha accelerato alla grande nella vallata, sia la pubblica che la privata. Non si può dire infatti che il secondo mandato dell’attuale sindaco non sia all’insegna della ristrutturazione e della ricostruzione, è da quando hanno tolto i Sampietrini dalla via Roma che non vedevo tanti cantieri. Tuttavia, il cambiamento nella mia cittadina che mi ha più colpito è stato quello che riguarda il vecchio ospedale. I vecchi edifici che ospitavano corsie, reparti e ambulatori verranno sostituiti da appartamenti e giardini, mentre i malati sono già da tempo stati dirottati alla Gruccia. Per quanto riguarda il cantiere del “Foro Varchi”, così è stato denominato il progetto nel sito dell’ex ospedale, i lavori procedono, anche se dietro ai due blocchi ristrutturati c’è la desolazione del fango e dei calcinacci. Fa un po’ strano pensare che del posto dove sono nati tanti montevarchini, compresa la sottoscritta, quella corsia a cui si accedeva da quella rampa di scale che quando ero piccola mi sembravano tanto ripide, non siano rimasti che detriti.
Succede proprio quando passo in piazza Donatori di Sangue e sbircio dietro alla palazzina ben ristrutturata e rifinita che mi riaffiorano quei pochi ricordi legati a quel posto: il fatto che le scale erano ripide viene dal ricordo di quando andavo a trovare mia zia che aveva appena partorito mia cugina, avevo nove anni, ma mi ricordo ancora le tre macchioline di sangue sulla sedia-poltrona o quello che era nella stanza di mia zia. Quanti anni sono passati da quando è nato Lorenzo non me ne ricordo, ma l’immagine di lui piccolissimo dentro al carrello che sembrava un catino trasparente non la dimentico. Insomma, tutte queste figure legate alla nascita sono ora sepolte sotto un bello strato di macerie, pazienza.
La forza propulsiva dell’edilizia non si ferma di fronte a simili fantasticherie, in particolare a Montevarchi e nel Valdarno dove case e condomini spuntano come funghi; d’altronde è il prezzo da pagare per far perdere ai nostri paesi la loro facciata di borghi campagnoli e mandarli al loro destino di città.

Nota sul prossimo racconto

Il prossimo racconto è stato pubblicato l'anno scorso e quest'anno in due raccolte.
Ovviamente è quello che mi piace meno..

Tra poco

Lania ansimava, prima di cominciare a gemere si voltò e guardò i cristalli liquidi della radiosveglia sul comodino: 23 e 26. Non fece in tempo a pensare niente, girò di scatto la testa, i movimenti di Dave sopra di lei erano diventati più decisi e ritmati, cominciò a muovere il bacino con lo stesso ritmo e con le dita strinse due lembi del lenzuolo. Dave adesso inspirava col naso ed espirava con la bocca, gocce di sudore colavano dall’attaccatura dei suoi capelli castani, guardò la bocca di Lania leggermente aperta: lei non diceva mai niente quando facevano sesso e lui era contento di seguire il suo esempio. Aveva i capelli appiccicati alla fronte. Lui venne; immediatamente dopo anche lei raggiunse l’orgasmo, con un gemito poco più forte. Lasciò il lenzuolo e posò le mani sulla nuca di lui che piegando le braccia la baciò sulle labbra, lo fece appoggiare su di lei, le loro pelli sudate a contatto. Guardò i suoi occhi azzurri, gli occhi dell’unico con cui era riuscita a provare così tanto piacere e pensò che c’era solo un modo in cui lui avrebbe potuto rovinare tutto: se le avesse detto che l’amava, magari con tutto sé stesso o tutto il suo cuore. Non lo fece; si distesero uno accanto all’altra poi lui sorrise.
“Allora, com’è scopare prima dell’esame orale di maturità?”
Lania rise.
“Veramente dovresti chiedermi domani: com’è fare l’esame di maturità dopo una notte di sesso?”
“Non è mica una notte di sesso, non è neanche mezzanotte! Scusa ma quante volte lo vuoi rifare?”
“Se sei stanco non importa,” lo stuzzicava così in continuazione.
“Va bene. Tra un po’ però.”
“Sì, certo.”
“Dico sul serio!”
“Sì, ci credo!”
Dopo poco Dave aveva chiuso gli occhi e si era addormentato. Lania scese in cucina, bevve un bicchiere d’acqua e si accorse che probabilmente non sarebbe riuscita a dormire: era davvero agitata per l’esame del giorno dopo, inutile negare l’evidenza. Guardò le pile di libri sul tavolo da pranzo, si sedette e li sfogliò tutti: letteratura, fisica, inglese... Ripassò perfino qualche passo del Paradiso. Stava rileggendo gli appunti di filosofia quando Dave scese.
“Avevi detto che non volevi studiare stanotte, secchiona! Lo vuoi capire che tanto il tuo cento non te lo toglie nessuno?!”
“Che ora è Dave?”
“Quasi le tre. E dove cazzo è finita la notte di sesso?”
Lania alzò gli occhi dal quaderno e lo guardò, nudo davanti al frigorifero. Ci pensò un attimo poi rispose:
“Beh, quando hai ragione hai ragione !”
Si alzò e lo baciò, spingendolo contro la porta a vetri, fredda contro la sua schiena e le sue natiche. Lui la strinse a sé e lo fecero lì in piedi, in cucina; durò poco, ma lei arrivò lo stesso e si chiese se non fosse merito dell’ansia per l’esame.
Verso le cinque e mezza Dave fu svegliato dalla luce del sole che filtrava attraverso le persiane della finestra della camera di Lania; lei era accanto a lui, addormentata, nuda e bellissima sulle lenzuola, nella penombra. Andò in bagno e si vestì cercando di non fare rumore, prima di uscire resistette a stento alla tentazione di svegliarla con un bacio, se l’avesse fatto probabilmente lo avrebbe insultato. Uscì ed inforcando quel rottame che vagamente somigliava ad una bicicletta tornò a casa.
Faceva freddo la mattina presto, anche se era luglio, il cielo era chiaro, ma grigio, le strade erano deserte. Dave appoggiò la bicicletta al muro accanto al portone del condominio, salì al secondo piano ed aprendo la porta fu invaso dal forte odore che dominava in tutto l’appartamento: alcool. Non fece in tempo a richiuderla che venne travolto anche dalle urla alterate dall’ebbrezza di sua madre.
“Davide! Tutta la notte fuori! Senza dire niente! Sei stato ancora da quella puttana? Eh? Eri da quella troia? Melania si chiama quella troia! Sono tornata e non ti ho trovato e te eri da quella troia?! Allora?!”
“Basta mamma! Va’ a dormire!”
“Se tuo padre fosse qui te la farebbe vedere! A te e a quella troia!”
“Basta adesso mamma!”
Sua madre era distesa sul divano in soggiorno, accanto a due bottiglie di vodka vuote che si era portata da fuori, la casa faceva schifo, era sporca e in disordine. Dave prese le due bottiglie e le buttò nella spazzatura, poi si guardò intorno per trovarne qualche altra e gettarla, vuota o piena che fosse.
“Che cazzo fai ora? Devi andare a lavorare! Capito? E devi anche smettere di scopare con quella troia!”
“Mamma sta’ zitta!”
Dave si cambiò in fretta ed uscì mentre sua madre stava ancora urlando.
“Non ti permetto di parlarmi così Davide! Hai capito? Non devi parlarmi così!”
Sbatté il portone alle sue spalle e vi si appoggiò. Basta, non poteva continuare così, soprattutto sua madre non poteva continuare così, è vero, tutti hanno diritto ad avere le loro possibilità, ma c’è un limite a tutto. Si era fermato a pensare per far sbollire la rabbia, era troppo presto per andare a lavorare. Prese a calci un paio di sassolini; tanto lo sapeva: sarebbe continuato così, e chissà ancora per quanto. Tantissime volte ormai si era ripetuto che non poteva andare avanti ed erano passate settimane. Risalì sul rottame pedalando senza una meta e intanto ridimensionava i fatti: sapeva che sua madre non era un’alcolizzata, non sentiva il bisogno di bere, sentiva solo il bisogno di dimenticare, l’alcool era un modo come un altro per lasciar perdere il presente per una manciata di minuti. Tra poco sarà tutto finito, in un modo o nell’altro: lo ripeteva sempre zia Susi con il suo pessimismo ed il suo senso di colpa, e aveva ragione. Ripercorse il tragitto di meno di un’ora prima ed i suoi pensieri volarono altrove; poi pensò che a Lania non aveva detto mai niente, neanche una parola sulla sua famiglia, ma prima o poi gliene avrebbe parlato, dopotutto erano quasi tre mesi che stavano insieme e lei non lo aveva ancora mollato: non poteva essere solo sesso. Girellò in un altro paio di vicoli e poi si decise ad andare a lavorare.
A mezzogiorno Lania usciva dalla scuola, raggiante.  finita finalmente. Tornò a casa camminando a cinque metri da terra, con suo padre che non smetteva di farle domande. Dopo aver spiegato a tutti i componenti della famiglia la completa dinamica dell’esame ed aver pranzato, prese la montagna di libri che erano rimasti in cucina e li nascose su un remoto ripiano della libreria. Erano rimasti solo tre libri, che non entravano da nessuna parte, appoggiati temporaneamente sulla mensola del caminetto. Il campanello suonò. Era Dave che appena finito il turno mattutino era venuto in cerca di buone notizie. Lo fece entrare, divenne pensierosa.
“Allora, com’è andata?”
“Bene, bene. Tutto come mi aspettavo.”
Lania aveva la testa da un’altra parte.
“Allora avrai preso il massimo, secchiona! Sabato andiamo a festeggiare?”
“Veramente...”
“Se non va bene facciamo un altro giorno.”
“Sì... Cioè no. Senti Dave, dobbiamo parlare di noi.”
“Lania, che succede?”
“Niente, niente, è solo che, sai, tra poco sarò all’università, credo che dovrò studiare ancora di più, poi sarò sempre impegnata nei corsi e forse è meglio se questo discorso te lo faccio adesso invece che tra un mese o due...”
Mentre parlava guardava in basso e si attorcigliava tra le dita una ciocca dei lunghi capelli scuri e mossi; Dave la fissava immobile con i suoi occhi neri, aveva capito da subito dove voleva andare a parare.
“...Insomma pensavo che è meglio se ti dico adesso di smettere di stare insieme invece che alla fine dell’estate.”
A Dave girava la testa, così era finita, senza un litigio, un allontanamento, un preavviso; adesso se ne usciva con un discorso così stupido per piantarlo, non si era neanche inventata una scusa più plausibile.
“E quindi ci lasciamo, non stiamo più insieme.”
Si sentiva un idiota a ripetere il concetto ad alta voce, come se non l’avesse capito. Si mise una mano sui capelli castani ancora scompigliati dalla corsa che aveva fatto in bicicletta. Adesso lei aveva alzato lo sguardo, i suoi occhi verdi lo guadavano, inespressivi. In quell’attimo Dave cercò nei suoi occhi di trovare la sua Lania, credendola diversa da quella ragazza davanti a lui, lei non poteva fare un discorso simile, non poteva lasciarlo in quel modo. Adesso parlava senza pensare.
“Tu non mi ami, vero?”
Lania smise di toccarsi i capelli, cercando una risposta.
“Io non lo so se ti amo, Dave. È che...”
“Io ti amo Lania.”
Lei non parlò, fece un passo indietro.
“Lania...”
“No. Io non ti amo.”
Lania si voltò, lui la prese per un braccio. Lei lo strappò violentemente dalla sua mano e perse l’equilibrio, cadde all’indietro e batté forte la testa sullo spigolo vivo della mensola del caminetto. Il suo corpo cadde inerme sul pavimento. Dave corse verso di lei, non si muoveva. Dave non riusciva a parlare, neanche per chiamarla per nome. La scosse ma non ebbe nessuna reazione. La fissò. Una voce rotta, così diversa, trovò la forza di chiamare la madre di Lania, ma già Dave non capiva più niente di ciò che stava succedendo, aveva davanti agli occhi solo l’immagine di Lania immobile.
Qualche ora dopo si ritrovò a sedere su una sedia in un corridoio dell’ospedale, una donna veniva verso di lui, la riconobbe solo all’ultimo: era sua madre, gli si avvicinò.
“Davide. È in terapia intensiva. Vedrai che andrà tutto bene.”
Andrà tutto bene. La frase continuò a lungo a risuonargli nella testa, lieve, insieme ad un’altra, più forte e insistente: che cosa hai fatto?

Rachele e Sabrina

Ottobre '97: libertà vigilata
Una ragazza magra, sui ventitré anni era intenta a truccarsi mentre pensava a quella che avrebbe dovuto essere la sua famiglia: una bambina di cinque anni piazzata alla cugina e un uomo finito chissà dove. Le sue dita nodose passarono con attenzione la matita sul contorno del labbro superiore e misero il rossetto con il pennellino. Guardando il suo riflesso sullo specchio pieno di ditate si chiese se non si fosse data troppo trucco.
“Rachele! Hai finito?”
Quella grassona di Anna rompeva.
“Un minuto! E che cazzo!”
E poi pretendono di chiamarla libertà, vigilata, ma libertà la chiamano!
Si sciacquò le mani ed uscì dal bagno, davanti alla porta stava Anna con quel suo grugno incazzato.
“Ecco, è tutto tuo il cesso.”
Spianò le pieghe sulla minigonna e pensò che forse sarebbe stato meglio non mettersi tutta in tiro con i vestiti di quella vecchia prostituta ladruncola della sua compagna di stanza. Guardò Nicola, il tizio quasi-secondino che doveva starle tra le scatole quella sera. Un pigro. Era sbracato sulla sedia di plastica e biascicava una gomma.
“Posso uscire?”
Quello fece un assonnato cenno di assenso indicando la porta. Rachele uscì. Fuori c’era un vento gelido: forse aveva davvero esagerato con quei vestiti, le sembrava di dover andare a battere, ma ormai era troppo tardi. Prese la metro, le stazioni deserte si susseguivano davanti ai suoi occhi mentre si avvicinava al centro. La ragazza continuava ad immaginarsi il volto di sua figlia che sicuramente stava già dormendo. Scesa dal treno raggiunse una di quelle viuzze laterali che danno sulla piazza e dopo qualche passo sull’asfalto bagnato si fermò a guardare il locale dove aveva passato tante notti insonni. Erano le dieci di sera di un giorno feriale ed il bar aveva già assunto l’atmosfera particolare dei posti chiusi: gli sgabelli erano appoggiati sul bancone, i bicchieri tutti puliti e in ordine, le bottiglie di alcolici luccicavano alla debole luce che veniva dal retro. Entrò silenziosamente e si avvicinò cauta alla porta della stanza illuminata alla ricerca di Grazia, la proprietaria. Erano amiche da tempo e anche se non si vedevano da tanto, Rachele ricordava le sue abitudini, come quella di tornare a casa a tarda notte dal lavoro. Sbirciando, infatti, era riuscita a vederla controllare che la porta di servizio fosse ben chiusa. Bussò, si salutarono e parlarono un bel po’ prima che Rachele arrivasse al punto:
“Sai che fine ha fatto Alex?”
“So che si è fatto qualche mese per detenzione di stupefacenti, ma adesso non ho la più pallida idea di dove sia. Puoi sentire Alberto al pub, magari sa qualcosa più di me, io non so altro.”
“Grazie lo stesso Grazia, mi sei stata d’aiuto comunque. Adesso ti lascio tornare a casa, buonanotte.”
“Buonanotte. Guarda di farti vedere un po’ più spesso.”
Uscendo dal bar di Grazia, Rachele si chiese per l’ennesima volta se fosse una buona idea andare a cercare quel poco di buono, ma non ci pensò a lungo. Le apparve davanti agli occhi l’immagine di sua figlia, si disse che a quell’ora stava sicuramente dormendo; si decise a continuare la ricerca ed allungò il passo. Stava attraversando strade buie e deserte e avrebbe avuto paura di incontrare qualche delinquente se non si fosse sentita lei una delinquente con quei vestiti e la libertà vigilata da scontare per altri sette mesi. Al pub c’era gente, e neanche poca; entrò e si guardò intorno cercando qualche volto conosciuto. Era lì, Alex. Lo riconobbe in mezzo ad un gruppo di persone, aveva una bottiglia in mano e discuteva animatamente con un tizio puntandogli un dito contro. Rachele lo chiamò, lui si voltò. Dalla sua faccia si vedeva che non era soltanto sbronzo, all’inizio non la riconobbe e si avvicinò.
“Oh, buonasera bella troietta, sei tornata per scopare con me?”
Rachele capì non era affatto un buon momento per parlargli, la sua testa si affollò di voci che non facevano altro che ripetere: come ha fatto a venirti in mente un’idea simile! Fece per andarsene come se non fosse successo niente, ma Alex la spinse contro il muro.
“Che cazzo fai? Te ne vai? Brutta troia! Puttana! Mi hai rovinato la vita!”
Continuando a gridare, spaccò la bottiglia contro il muro.
“Alex lasciami stare. Non è stata colpa mia...”
“Ah, davvero? Stronza! Sei stata una stronza! Lo sapevi che Omar mi aveva dato la roba quella sera! Troia!”
Voleva gridargli contro, arrabbiarsi con lui, urlargli di smetterla, che adesso poteva avere una vita, che non doveva sprecarla spacciando droga, ma non lo fece.
“Lasciami Alex. Ti prego.”
Gettò i resti della bottiglia a terra, la teneva ferma per i polsi, il barista e qualche cliente gli gridarono di lasciarla andare. Alex seguì il consiglio e si allontanò.
“Puttana. Anzi, puttane tutte e due. Tu e tua figlia. La pagherete per quello mi hai fatto, troia!”
Rachele aveva paura e voleva tornare a casa, ma quella minaccia glielo impedì. Decisa, raccolse la bottiglia rotta da terra e si avventò su di lui, nessuno riuscì a impedirglielo; una, due, tre volte affondò i vetri nella sua pelle. Dopo un attimo guardò il corpo esanime del padre di sua figlia; il sangue continuava a scorrere via, ne aveva le mani ed i vestiti pieni. Gettò lontano la bottiglia e si sedette a terra piangendo. Non si mosse fino a che non vennero a portarla via. E adesso cosa sarebbe stato di quella cosa che non aveva mai potuto chiamare famiglia? Della sua bambina?
Voleva ritrovare quel balordo perché sua figlia avesse un padre ed era riuscita a negarle anche questo. Adesso era sola. Erano entrambe sole adesso.
Novembre ’97: condanna
Molti guardavano fuori dalla finestra o si fissavano le dita delle mani, nella stanza c’era un silenzio pesante. Qualcuno tossì. Sabrina aveva il singhiozzo e si sentiva davvero fuori luogo in quel posto pieno di adulti. Non aveva neanche capito perché era lì, ce l’aveva portata Angelica che adesso stava lì accanto a lei ; faceva quasi paura così silenziosa e immobile. All’improvviso in mezzo a tutto quel silenzio entrò un uomo distinto, tutto vestito di grigio, anche le scarpe; disse qualcosa con una voce calma e tranquilla, ma Sabrina non aveva capito niente: quello usava solo paroloni difficili. Angelica però doveva aver capito, perché si era spostata a sedere sulla sedia e adesso stava proprio sul bordo, come se fosse pronta a scappare via di corsa; la sua faccia era preoccupata. Nella stanza entrò un altro tizio che disse che potevano entrare. Entrare dove?
“Dove andiamo?” Sabrina era riuscita a chiederlo ad Angelica mentre si alzava, piano piano, con un sussurro, perché, nonostante che tutti si stessero alzando dalle sedie, c’era ancora un gran silenzio. Ma Angelica non aveva risposto. Le aveva preso la mano però, e la stava conducendo al dì là dalla porta da cui era uscito il secondo tizio. Lì c’era una stanza buffa, lunga lunga, e da una parte c’erano tanti banchi con le sedie e dei telefoni, ma Sabrina ed Angelica non si fermarono ed entrarono in un’altra stanza, molto più piccola; era buia, ma quando entrarono si accese una luce forte, c’era un tavolo con due sedie vuote e due occupate. Al tavolo, infatti, c’era una guardia (un’altra stava in piedi), e c’era Rachele.
“Mamma!”
Sabrina fece per correre dalla madre, ma Angelica la trattene per il braccio.
Perché?
Sabrina si sedette e guardò la madre che sorrideva triste.
Perché aveva addosso una tuta?
Perché stava dall’altra parte del tavolo?
Perché non poteva abbracciarla?
Sabrina non capiva più niente e intanto sua madre sorrideva, anche se dall’espressione pareva più triste che felice, e non la guardava. Sabrina fissava la madre in silenzio, esclusa dai discorsi che intanto erano incominciati tra i tre adulti, specialmente tra la guardia e Angelica, ma Rachele sfuggiva il suo sguardo. Improvvisamente si sentì un grido proveniente da un’altra stanza, una voce di donna. La guardia uscì; si era fatto silenzio di nuovo e Sabrina si era voltata verso la porta. La guardia rientrò quasi subito scuotendo la testa e ricominciarono a parlare:
“Dunque le ripeto gli orari: ogni sabato dalle 15 alle 17 per non più di quindici minuti. E' tutto chiaro?”
Angelica assentì e Sabrina tornò a guardare sua madre, adesso sembrava esclusa anche lei dalla discussione. La guardia si alzò:
“Bene, abbiamo finito. Può andare.”
Angelica si alzò e fece alzare anche Sabrina; adesso Rachele la stava guardando. Si alzò ed andò ad abbracciare la figlia, le disse che le dispiaceva e le chiese scusa, poi fu allontanata dalla guardia. Sabrina aveva visto le sue lacrime.
Quella sera Angelica le spiegò che sua madre era in prigione perché aveva ucciso un uomo e che non sarebbe tornata presto.
Gennaio ’07: permesso premio
Sabrina sbatté la porta.
Adesso doveva venirlo a sapere! Cazzo! Aveva quasi quindici anni! Non bastavano la vergogna e le bugie raccontate alle maestre e ai compagni dalle elementari per non dover dire “mia madre è in prigione”! Almeno “mio padre è morto quand’ero piccola” reggeva e nessuno le chiedeva altro, ma per tutto quel tempo Angelica non le aveva detto niente! Fantastico! “Mia madre sta in galera perché ha ammazzato mio padre”! Roba da soap opera.
“Sabrina! Apri la porta!”
“Sta zitta, mamma!”
Si chiuse a chiave in camera ed aspettò in silenzio finché non sentì i passi della madre sulle scale, poi uscì dalla finestra. Fece attenzione a non essere vista dalla finestra del soggiorno ed imboccò la strada in direzione della periferia. Dopo un paio di isolati trovò Leo ed i suoi amici vagabondi a ciondolare vicino al campo da basket, c’erano anche un paio di ragazzi con lo skate. Salutò Leo e si fece dare una sigaretta.
“Sabri, com’è?”
“Tutto ok...”
“Sicura? Hai una faccia strana.”
“No, no. Sto bene.”
Appoggiò la schiena al muro e accese la cicca.
“Leo, ma te l’hai più rivisto tuo padre dopo che i tuoi si sono lasciati?”
“No, neanche una telefonata. Perché me lo chiedi?”
“Niente, curiosità.”

Cronache d'agosto

Voglio scrivere una canzone su di lui. Questo è il pensiero che mi accompagna da ieri pomeriggio mentre camminavo davanti ai negozi chiusi e ai bar vuoti sotto il sole forte d'agosto. Ci ho pensato a lungo mentre sudavo pedalando verso casa: niente sterili metafore né luoghi comuni, niente ritornelli cretini stile canzone d'amore all'italiana. Abbasso Laura Pausini! Abbasso Gigi D'Alessio! Forse basterebbe la descrizione di quell'orribile foto... Ci pensavo anche oggi sul treno mentre ascoltavo Kurt, ma per quanto cerchi le parole, quelle non si trovano e non ho grandi idee: dovrei descrivere i suoi atteggiamenti da emarginato? Dire quanto poteva essere stronzo e maleducato? O basta scrivere di come si portava alle labbra una sigaretta dietro l'altra? Lo squillare stridulo del telefono interrompe i miei futili pensieri, tanto per non chiamarle seghe mentali...
Laura che mi chiede di uscire domani, per fare che cosa? Continuare a ripeterci quanto non vorremmo essere in questa cittadina di provincia?
Adesso sono qui davanti alla tabaccheria ad aspettarla, Laura, che compra un altro pacchetto di Camel e ricarica di nuovo il cellulare, tanto domani non avrà più soldi, di nuovo. Sbadiglio appoggiandomi alla ringhiera verde della casa accanto al tabacchi. Nel giardino c’è un gatto che mi fissa con due enormi occhi gialli. Vorrei potergli chiedere se non si annoia anche lui, ma si allontana, e poi non mi avrebbe certo capito. I vecchietti giocano a briscola sul tavolo di plastica davanti al bar, ma se ne vanno presto, uno dopo l’altro, stancati dalla calura estiva. Laura finalmente esce e subito si infila una sigaretta in bocca. Le propongo di andare al supermercato perché c’è l’aria condizionata, poi le chiedo perché ha insistito a uscire a quest’ora impossibile, sono le tre. Risponde che dopo ha ripetizione, che palle! La scuola non solo dura nove mesi, ma rompe anche d’estate. Tra poco ricomincia. Comincio a lamentarmi, ma Laura mi interrompe: mi dice di non pensarci e di correre verso il supermercato perché fa davvero troppo caldo.
Ci siamo quasi tutti stasera, anche Mattia è tornato dalle vacanze in Puglia con i suoi genitori, anche se tra poco dovrà ripartire, tutti intorno al solito pezzo di prato pieno di bottiglie di birra. Sono seduta appoggiata al tronco di un albero e le sto fissando, per ora sono mezze piene (o mezze vuote?), ma presto finiranno, soprattutto grazie al contributo del solito Daniele. Adesso è proprio qui accanto a me con la bottiglia in mano, gli si sta già formando il sorriso ebete sul volto. Anna e le altre chiacchierano, ridono, ma io non riesco a seguire i discorsi; per ora me ne sto un po’ da parte a guardare il cielo che intorno a noi si scurisce sempre di più. Ecco che arriva Caterina con la chitarra e immediatamente si incazza con gli altri perché la birra è quasi finita, poi viene vicino a me, si siede, beve un po’ poi mi fa: “Perché così triste e meditabonda?” La guardo male, ma lei insiste con domande stupide del tipo: non starai mica ancora pensando a quello là?? Sì e con ciò? Che cazzo te ne frega! Non vedo l’ora che si zittisca riattaccandosi alla bottiglia e che cominci a suonare le sue canzoni pietose. A volte la odio davvero tanto, come adesso: pretende di farci sentire le canzoncine che si inventa lei con quella chitarra scordata e poi gli altri le fanno i complimenti perché sono mezzi ubriachi. Mi faccio passare l’ultima bottiglia anch’io, ma ho bevuto troppo poco per non sentire le stecche di questa qua. Sospiro e mi metto a giocare con i tappi per terra.
Sto riguardando le foto, evito accuratamente quelle dove c’è lui, le metto in fondo a tutte le altre, ma poi le guardo lo stesso. Che faccia da idiota. Intanto continuo a mangiare i cereali nel latte freddo, che, visto che sono vecchi e mosci, hanno formato un pappone di un colore indecifrabile. Finita la sbobba della colazione ripongo le foto e accendo la tv: wow, c’è Beverly Hills! Ora posso dire che la mia depressione ha raggiunto lo stato patologico... Spengo senza neanche guardare gli altri canali, che palle! Poco più in là sul tavolo c’è il libro di matematica che la mamma vorrebbe che ripassassi; non ho voglia di far niente, figurarsi di studiare! Mi torna in mente che voglio scrivere quella canzone, ma di nuovo non ho idee, le uniche cose di cui sono sicura sono quelle che non voglio scriverci: mi manchi, perché non sei qui e cazzate simili... Spero che lui adesso si stia godendo quello che resta dell’estate e se ne strafreghi di me, almeno sarebbe intelligente.
Oggi pomeriggio si sta un po’ meglio fuori, c’è il venticello che aiuta a respirare. Sto pedalando verso casa di Tom, devo restituirgli il suo dvd, me lo aveva prestato, ma poi l’aveva lasciato da me. Quasi davanti a casa mia incrocio Simone che cammina a testa bassa, lo saluto; saranno anni che non ci parliamo, una volta eravamo così amici, ma adesso ci vediamo sempre solo di sfuggita, una volta ogni morte di papa. Comincia a piovere. Continua a fare caldo e la strada puzza di asfalto bagnato, che schifo! Metto al riparo la bicicletta in un vicolo e mi dirigo a casa di Tom; sul marciapiede dall’altra parte della strada c’è una bambina che corre riparandosi con un libro sulla testa. Suono il campanello, ma non risponde nessuno; Tom non è in casa. Strano, mi aveva detto di passare a quest’ora. Mi sono presa l’acqua per niente, bene.
Rieccoci a un’altra serata di queste, Mattia è già ripartito, lui e le lattine di Guinness che ogni tanto portava, in compenso stasera c’è anche Simone: abbiamo riallacciato i rapporti, anche se ormai non è più quello che una volta consideravo il mio fratellone, cioè è sempre il solito, ma... Non so se ho fatto bene a fargli conoscere tutti questi cretini. Oggi è toccato a me portare da bere, lo sanno tutti che io compro la birra più forte, quindi adesso sono tutti contenti. Tranne Tom che fissa la bottiglia piena che tiene in mano; io sono già alla seconda e comincio a non essere sicura se quello che penso lo penso e basta o lo dico anche. Tom non beve, come? Per una volta che c’è la birra buona, l’ho portata io? Sono un po’ brilla. Anche se non mi piace uscire di testa, stasera ho fatto uno strappo alla regola. E quello? Che faccia depressa? Perché non bevi Tom?? Che hai?? Questa mi sa che l’ho anche pronunciata perché Tom mi risponde, con la risposta più ovvia: niente, niente... Odio quando la gente mi dice “niente”, è sempre una bugia. Appoggio la bottiglia a terra, subito Daniele me la fotte; e chi se ne frega. Mi torna in mente l’altro ieri quando Tom non era in casa e mi sono inzuppata di pioggia per niente. “Tom, perché l’altro giorno non eri in casa? Quando pioveva sai, dovevo riportarti il dvd.” “Ero da Sonia.” Ecco, ora capisco! Sono fuori, ma non poi così tanto. Non voglio fare l’impicciona come la Cate, quindi mi zittisco e lo lascio alle sue meditazioni.
Mezzanotte e un quarto passata e arriva Laura, con Sonia, che strano: Sonia non viene mai, le stanno sulle scatole la maggior parte dei ragazzi, e Laura è sempre con il suo boy. Che cavolo ci fanno qua?
Daniele è già ubriaco, altri due o tre sono un po’ rimbecilliti come me; Sara, che si mantiene sempre abbastanza lucida, chiede alle due: “Che ci fate qua in mezzo a tutti questi ubriaconi, ragazze?” Sonia, infastidita, prende Tom per un braccio e lo trascina via, suppongo per parlargli in privato. Eh, gli affari di cuore! Quindi Laura è rimasta da sola a sbrigarsela con gli ubriaconi. Si infila una sigaretta in bocca e si fa passare una bottiglia. Le chiedo dov’è il suo amore, lei sbuffa il fumo e risponde seccata: “In vacanza con i suoi!” Oddio, scusami, che ficcanaso che sono! Mi volto e mi metto ad osservare le sagome nere di Sonia e Tom nella penombra del parco: discutono, poi Sonia scippa la bottiglia dalle mani di Tom e se la scola tutta. Che forza! Miss ce-l’ho-solo-io con i suoi tacchi a spillo e i suoi straccetti attillati che beve come una spugna! Che bello, magari adesso cominciano a litigare e ci scappa la rissa! Chiedo informazioni a Laura che si sta presentando a chi ancora non la conosce: “Lau, la Sonia lo regge l’alcol?” “Boh, non beve mai, credo sia astemia.” Allora ci sarà da divertirsi! Appena questo pensiero attraversa la mia mente già mezza assopita mi accorgo di quanto mi sbaglio: i due, a quanto pare, hanno fatto la pace e si sono avvinghiati in una pomiciata appassionata; e io che speravo nel litigio... Improvvisamente, tra le risatine, Simone grida: “Lo spettacolino porno è compreso nella serata?” Beh, domanda lecita, la cosa strana è che Sonia, invece che riderci su, se ne esce con un: “Che cazzo vuoi coglione?” La birra comincia a fare effetto! Sonia si avvicina pericolosamente a Simone, che è più fuori di testa di quanto pensassi. “Dai, bambolina non te la prendere! Ti do un po’ di birra anch’io, così lo spettacolino lo mettiamo su io e te, no?” Ecco, adesso si incazza anche Tom (come ti permetti!), solo che lui è sobrio e con un pugno stende definitivamente Simone, già mezzo ubriaco e mezzo tramortito. Il silenzio cala sul gruppo; ho avuto la mia rissa, non posso lamentarmi. I più sbronzi cominciano a fare la cosa più stupida: se ne vanno di corsa, prima tra tutti Sonia con Tom, tirato di nuovo via per il braccio, più sconvolto per quello che ha fatto che arrabbiato, poi Daniele, Laura, Anna, Caterina, Sara e tutta la compagnia di cretini ubriachi. Alla fine rimaniamo solo io, troppo stanca per correre, Daniele che dorme per terra, Andrea, la chitarra abbandonata dalla Cate e le bottiglie vuote. Che cavolo corrono a fare, tanto non c’è nessuno! Guardo Andrea che mi sorride, sta pensando anche lui le stesse cose, non è per niente sbronzo: bravo ragazzo. Si offre di riportare Simone a casa, lo accompagno, così posso buttare le bottiglie nel cassonetto per la raccolta differenziata. Per tornare a casa devo riattraversare il parco, prendo la chitarra della Cate mentre passo e non resisto alla tentazione di fermarmi e strimpellare qualcosa: Polly wants a cracker... Think I should get off of her first... I think she wants some water...
Forse non scriverò mai una canzone su di lui, forse non ci ho neanche pensato sul serio. Guardo il cielo nero, pieno di stelle; meglio tornare a casa, prima che i genitori si arrabbino.

Cose che vale la pena sapere

Slow Food in due parole

Il co-produttore

Slow Food promuove un approccio nuovo al consumo alimentare. Per sottolineare che il consumatore può stimolare cambiamenti determinanti nel settore agroalimentare, Slow Food ha coniato il termine co-produttore. Con questa parola si intende un consum-atore che, attraverso scelte consapevoli e, quando è possibile, un rapporto stretto con contadini, pescatori, allevatori, vignaioli e casari, assume un ruolo attivo nel processo di produzione. Il co-produttore non solo acquista, ma sollecita informazioni e consigli per riconoscere differenze qualitative e nutrirsi in maniera più sana, buona e responsabile.Grazie a consumatori attenti e informati, l’agricoltore è motivato a lavorare con tecniche tradizionali che garantiscano la biodiversità dei prodotti e la loro qualità.

mercoledì 4 marzo 2009

Nota sui racconti

Nuovo blog, nuova vita: voglio riproporre i racconti che ho pubblicato nell'oramai lontano 2006, almeno per una volta darò retta a sua maestà lo scrittore Marco Vichi e utilizzerò il blog per far leggere i mei racconti.
Magari in questo modo i miei visitatori avranno qualcosa da leggere oltre alle solite sciocchezze da blog.
E magari mi scrivono cosa ne pensano..Grazie!!
Attenzione, attenzione!!
Questo è un post di prova!!

Tanto andrà in fondo alla svelta quando avrò scritto qualcos'altro..

Ebbene, sono qui a scrivere a scrivere finalmente su questo mio nuovo e spero almeno un pochino letto BLOG, o meglio, come scrivevo sul Live Space: il BLOGGHE!! W la Toscana..

Ho deciso di mettere tutta me stessa sul web: nel senso che mi ci metto a scrivere un po' più spesso e che racconto un po' di tutte le mie 200mila cose che faccio..e sarà dura..D'altronde nella Rete c'ero già entrata da un pezzo, ma rendersi visibili da tutti, ma proprio tutti sarà un esperienza interessante!! Rete rete rete: tutto quello che il prof. ha detto stamani sulla Rete mi ha fatto davvero sorridere, mi ha fatto pensare ad un'altra rete di cui faccio parte e che sicuramente a prima vista assomiglia di più alla rete dei contadini della società rurale: TerraMadre.
Spero che il prof. faccia davvero un salto su Slowfood.it a dare un'occhiata a TerraMadre, almeno mi dirà se ho davvero recepito il concetto di rete!!

Ovvia, ho già scritto abbastanza cavolate per essere ancora al primo post..
Ditemi in bocca al lupo e sperate che i prossimi post che scriverò siano meno scemi!!